Donato Massaro: oltre l’Ultra c’è Altro. Il Passatore!
Eccomi qui, eccome se ci sono!
A bocce ferme (direi pure a gambe malferme), è arrivato il momento di buttare giù quattro righe, se non altro per cementare a mia futura memoria il turbinio di emozioni e di sensazioni che hanno reso unica per me l’esperienza di attraversare a piedi e di corsa l’Appennino toscoemiliano, in un incerto weekend di fine maggio, avendo a riferimento due punti, le cui iniziali coincidono: Firenze/Faenza.
In sintesi: Passatore.
Cosa rappresenta, gli addetti ai lavori lo sanno, ormai da 50 anni. E’ indubbiamente la corsa di ultramaratona per eccellenza, la più longeva, senz’altro la più famosa, probabilmente la più pittoresca e paesaggistica d’Italia. Abbraccia due regioni e copre un tracciato di 100 km su strada asfaltata che si deve correre o per-correre a piedi, in un tempo limite di 20 ore. L’arrivo è in Piazza del Popolo, a Faenza, in Emilia-Romagna. E’ una gara a tratti particolarmente dura e muscolare per i saliscendi, con un dislivello positivo di oltre 1450 metri. La partenza è alle 15:00 in punto da piazza Duomo, nel cuore gotico-rinascimentale di Firenze, in Toscana.
ANTEFATTO
La Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto e il Battistero, la Cupola del Brunelleschi sovrastano il capo protetto da bandane e cappellini e berretti dei corridori provenienti da svariate nazioni, pronti ad onorare la 49sima edizione del Passatore. All’appello mancano circa 300 iscritti, ma in mezzo agli oltre 3000 presenti, figuriamo pure noi: Carmine, Giovanni, io.
Tra un selfie e una pacca sulle spalle, fingiamo relax e siamo pensierosi. Rimaniamo a tratti attoniti, stupiti, disorientati, intimoriti, persino intontiti dalla magnificenza del luogo.
Mi guardo attorno, osservo un contagioso entusiasmo e, per quel che mi riguarda, percepisco l’ansia, la trepidazione, l’attesa impaziente, la determinazione e la voglia. Di correrla finalmente, questa benedetta gara. Rimandata per alluvione, attesa due anni.
A un certo punto, in mezzo a tanta gente mi sento solo, e consapevole.
Chiudo gli occhi.
Ripeto, in cuor mio, che è già stata un’impresa esserci.
Esserci per esser parte del tutto, pulviscolo sulla bilancia, goccia nel mare, puntino lasciato da lapis su una linea infinita, chicco di grano alla rinfusa.
Certo, ma è solo questo e null’altro? No, a questo punto non mi basta. Voglio la conferma da me stesso di conoscermi. Il bello arriva ora.
MOMENTO VANAGLORIOSO
Ho corso 7 gare ultra da sessanta o più km cadauna in giro per la penisola negli ultimi 5 mesi e in svariate altre competizioni, sono in sovraccarico funzionale, ho difese immunitarie non al top con un herpes labiale che me lo ricorda ad ogni piè sospinto, e sono stato al limite dell’overtraining.
Ma voglio la ciliegina sulla torta, e credo di meritarla.
Devo dire grazie ai consigli del mio mentore e ultramaratoneta di lungo corso Salvatore (di nome e di fatto, per natura predisposto a limitare gli altrui danni e a salvare il salvabile) se sono riuscito a riorganizzare le idee nella fase finale della mia quasi compromessa preparazione. Stand by e recupero con bici.
Ed ecco ora finalmente, concretizzarsi l’obiettivo. Sono pronto e non vedo l’ora di partire. E l’ora è giunta.
Riapro gli occhi.
LA GARA
Partiamo intasati, è un cammino agli ostacoli, nella calca. Siamo abbastanza dietro. Ma chi se ne frega, abbiamo un confine di regione da passare e 100.000 metri davanti a noi. Il cielo è parzialmente coperto, non si capisce se abbia in mente di piangere o di prenderci in giro. Pioverà? Si scoppierà dal caldo? Boh, nel dubbio sia Carmine che Giovanni ed io ci siamo attrezzati di zainetto da trail, se non altro per esorcizzare i nostri timori. Contenuto del mio? Guantini, cappellino di riserva, antivento, soft flask, cellulare, impermeabile, fasce rifrangenti, lampada frontale, gel, barrette, sali…scendi e chi più ne ha più ne metta.
Sarà pure ancora leggero, per carità, ma un paio di kg in più addosso ormai ce li ho e, almeno fino al cambio di Casaglia, al 53simo km, me li tengo.
Soprattutto ci teniamo d’occhio. Il nostro piccolo gruppetto è compatto…fino al terzo km. A questo punto, pausa di riflessione, al muro del…la…pipì!!! Pare infatti che ci sia incontinenza urinaria in quel tratto. In parecchi a darsi appuntamento lì. E lì, li perdo, Carmine e Giovanni, concentrati e meticolosi sull’estrazione e riposizionamento del loro prezioso arnese. Pazienza, a me non scappa. Avanzo voltandomi di tanto in tanto e provando a tenere alzato il braccio con la mia fedele bandana arancio (l’arancio e il nero sono i colori della mia squadra del cuore -Metalfer Podistica Brienza 2000-) per segnalare presenza ai miei compagni di viaggio, ma niente. Non sono un faro, in mezzo a tanta gente.
Ci perdiamo di vista.
La prima parte di gara scorre comunque tranquilla, con lo sguardo sereno al paesaggio. Oddio, non è un trail, ma il verde della campagna spicca ovunque e mette buonumore. Attraversiamo piccoli borghi festosi. Non c’è indifferenza o fastidio al nostro passaggio, non c’è livore né invidia, anzi. Tanta stima, fratello, alè, alè, aleeeè!!!
Ma tu guarda, – mi dico – che bello, anche loro sono parte del tutto!
E non ti dico ai ristori. E’ una festa. Ne conterò infine 20 lungo l’intero percorso, e ciascuno diventa il mio preferito, l’obiettivo immediato da inquadrare nel mio radar da corridore affamato. Colpito e affondato. Come un caterpillar, avanti, al prossimo!
Vi svelo un trucco. Come si finisce il Passatore? Allo stesso modo in cui si mangia un elefante, ovvero, un boccone alla volta.
E fuor di metafora, di bocconi ai ristori ne prendo tanti, davvero! Vado a ripetizione di squisito brodo caldo (a tratti bollente), pane e nutella e coca cola, ingurgito un mix esplosivo di energia e buonumore. E mi viene in mente la colazione fatta al mattino da mia sorella, squisita e ospitale, in quel di Sesto Fiorentino. Pancake fatto in casa e Nutella!!!
Attorno al 16esimo km scorgo davanti a me una canotta familiare. E’ indossata da Angela. Abbiamo corso insieme la gara attorno al lago Trasimeno.
E’ minuta, agile, leggera, combattiva e testarda. E’ determinata e di certo arriverà fino in fondo.
Siamo stati anche compagni di squadra. La supero, ci salutiamo e ci incoraggiamo a vicenda. La rivedo verso il 38esimo km, quando inizia la lunga salita, che porta fin su in cima, al fantomatico passo della Colla. Mi supera, ci salutiamo e ci incoraggiamo a vicenda.
Da qui in poi cammino, a passo svelto, ma niente corsa. Preferisco centellinare gli sforzi. So cosa mi aspetta.
Perdo poi 25 minuti buoni al cambio del 53 km, una volta scollinati, in quel di Casaglia. E cambio tutto: dai calzini alle scarpe, calzamaglia termica e maglia a maniche lunghe, cappellino e giubbino. Non mi interessa. La notte può essere lunga, e sa essere crudele. Riparto, rinato. Mi aspettano altri 50 km di corsa. Inizio a superare gente in discesa, ma mi trattengo. So che a Marradi il rischio di inchiodarsi è concreto.
Che bello il Passatore, sarà che è stata la prima volta, e quella dicono, non si scorda mai.
… le verdi terre. Le discese ardite. E le risalite. Su nel cielo aperto. E poi giù? il deserto!?! Nooo, è la notte, intensa, fresca, a tratti fredda e buia, spesso, haimé, rumorosa per il viavai di auto e poi malinconica per il gracidio dei rospi del fiume Lamone. Fanno compagnia. E un groppo in gola sale. Non è la nostalgia della campagna e il profumo d’erba e di pioggia, non sono le lucciole a risvegliare lo stomaco dai rigurgiti. Più banalmente sono le bevande gassate che chiedono conto del conto.
Ma il più è fatto. Manca solo ancora poco meno di una maratona!
Incontrerò ancora Angela, infine, al km 87 della nostra comune, mistica esperienza. Ci salutiamo e ci incoraggiamo a vicenda. Ormai è finita! Macché, ora arriva il bello.
Alterno camminata veloce a corsetta di resistenza, sono una fisarmonica tutto sommato ancora armoniosa. Vedo il cartello Faenza a 5 km dalla fine, poi ne vedo un altro indicante lo stesso nome, poi ancora un altro e l’unica cosa che non vedo è la fine. Quella non arriva mai.
E il garmin mi segna, sadico, 101 km e 500 mt, e mette il dito nella piaga.
La fine infine arriva, dopo 11 ore e 44 minuti.
Sono oltre, sono ultra, sono altro.
Ho al collo la medaglia del Passatore!