× LA 50^ EDIZIONE DELLA 100KM DEL PASSATORE SI SVOLGERA’ IL 24-25 MAGGIO 2025
Da 200 a 300, non c’è due senza tr..ittico! - 100 KM del Passatore | Firenze - Faenza

Da 200 a 300, non c’è due senza tr..ittico!

Da 200 a 300, non c’è due senza tr..ittico!

La prima è stata l’edizione della scommessa, del riuscire a fare qualcosa di impensabile. La seconda, passata la pausa del Covid, è stata l’edizione della sofferenza. Un forte dolore al ginocchio esploso appena arrivato alla Colla mi portò a chiuderla in 19 ore praticamente zoppicando gli ultimi 20 km. Quella appena conclusa mi piace pensarla come l’edizione dell’amicizia.
Alla fine della mia prima volta ero sicuro che non avrei mai più partecipato, ma, come mi avevano detto, la 100 km del Passatore dà dipendenza e questa dipendenza è pure contagiosa. Un amico carissimo, Ireneo, con cui ho condiviso tanti anni di scuola, dopo essermi venuto incontro alla fine della mia prima volta aveva deciso che anche lui avrebbe voluto partecipare.
E venne il Covid. E passò. Alla prima edizione post pandemia non si iscrisse e, come la prima volta, mi venne incontro fino a Errano insieme a mia moglie, le mie figlie e qualche altro amico. Ero con Laura, un’amica conosciuta alla partenza con cui avevo condiviso tutta la strada e tutta la sofferenza, stravolto, malconcio, ma tagliai comunque il traguardo. Evidentemente, neppure vedermi arrivare nel peggiore dei modi lo scoraggiò, perché l’anno successivo si iscrisse.
E venne l’alluvione. Decidemmo entrambi ovviamente di mantenere l’impegno per l’anno successivo, questo appunto. “Ireneo, se per qualche motivo annullano anche questa edizione promettimi che non ti iscriverai mai più” gli dissi scherzando.
Parallelamente, Serena, una compaesana, dopo la mia seconda partecipazione mi aveva chiesto informazioni. Finimmo con l’allenarci qualche volta insieme e fare la maratona di Roma lo scorso anno dove nuovamente il ginocchio mi diede problemi.
Questo 2024 sarebbe quindi stato il primo anno per i miei due amici per conquistare la medaglia della 100 km più bella del mondo. Una medaglia, quella di questa edizione, a cui tenevo tantissimo perché disegnata dalla figlia di mia cugina!
Ireneo è un tipo determinato e mi informò di essersi iscritto anche alla maratona del Lamone e alla 50 km di Romagna, perché già che si ballava, si doveva ballare per il trittico. “Maledetto! Non hai ancora fatto la 100 e vuoi fare pure il trittico”, ho pensato, poi ovviamente ho accolto la sfida, alla quale ha deciso di partecipare anche Serena.
Abbiamo corso la maratona e la 50 km per i fatti nostri. Serena ci ha dato paga, io sono arrivato un po’ prima di Ireneo. Tutti comunque a medaglia. E il ginocchio? Male… in entrambe le corse. Amen, perché comunque il giorno dopo non si sentiva più e questo mi dava speranza.
E così eccoci sul pullman per Firenze ad ascoltare le avventure di Vincenzo, mangiare al pasta party, vestirci, incremarci, portare le borse, camminare fino alla partenza, fare la fila per il bagno. Sentire salire l’ansia dell’attesa. Lo sparo, la partenza, la corsa fino all’inizio della prima salita dove aggreghiamo anche mio cugino Ivan alla conquista del piatto, sfiorata due anni fa. Insieme per quasi 20 km. Come sempre, ogni 5 mandavo aggiornamenti a familiari e amici. Ireneo ha un problema a un piede subito dopo Vetta le Croci, ci dice di andare avanti che ci avrebbe raggiunto. Io, Serena e Ivan acceleriamo approfittando della discesa. Ogni tanto mi giro, ma di Ireneo non c’è traccia. Alla foto dei 25 km un nostro ex compagno di classe mi chiede che fine avesse fatto. “20/25 min dietro” rispondo
basandomi sull’orario di una foto che mi aveva mandato poco prima.
“Aspettalo, mezzo amico!”. Aveva ragione, porca miseria. Nel frattempo, ormai siamo nei pressi di Borgo San Lorenzo dove decidiamo di fermarci qualche minuto in più per vestirci meglio. Con sorpresa lo vedo tagliare il traguardo. Aveva corso, l’orario della foto tra l’altro era sbagliato, non era troppo lontano da noi e ci aveva raggiunto. Adesso era deciso: salvo ritiri si arriva insieme.
Ripartiamo convinti verso il passo della Colla. Arriva la notte, la temperatura scende ancora, la salita è dura. Io lo so, Ivan pure, Serena e Ireneo un po’ meno. Sento qualche imprecazione, a me piace camminare di buon passo in salita, faccio finta di niente. L’odore della griglia dei ragazzi che sono sempre all’ultima curva prima del passo mi apre lo stomaco. “Voi non ci volete bene!” scherzo con loro. Mi invitano al banchetto, ma non posso rischiare, con l’alimentazione
non si azzarda. Arrivati alla Colla ci ubriachiamo di brodo caldo, assorbo qualche “insulto” di Serena per la faticaccia, e ripartiamo. Si potrebbe corricchiare, ma Ireneo ha male alla caviglia, dice, non vuole forzare. Allora camminiamo veloci e quando arriviamo a Casaglia Ivan non c’è. Aveva di nuovo problemi ai piedi, mannaggia (comunqueriuscirà ad arrivare in tempo).
Col nostro passo arriviamo a Marradi. All’ingresso del paese abbiamo il privilegio di camminare per diversi minuti con Adamo da Fusignano, classe ’49. Mi racconta di essere alla sua terza edizione. La prima fu nel 1973, la seconda nel ‘74 e poi quella a cui stavamo partecipando. Fare un pezzo di strada con una persona che ha partecipato alle prime due edizioni mi ha scaldato il cuore. Mi ha raccontato che alla prima dovette ritirarsi per le vesciche: le sue Superga di tela bianche (“non c’erano mica le scarpe di oggi”) erano diventate rosse per il sangue. La seconda la portò a termine. Per la cronaca arriverà al traguardo anche quest’anno, anche se a Marradi lo perdiamo di vista mentre ci scaldiamo col brodo e ci informano dei tanti ritiri per ipotermia.
Molti dicono che la 100 km inizia a Marradi. Non per me. A me piace il lungo tragitto che da lì porta alla piazza di Faenza; vedere il sole sorgere, camminare finalmente in strade poco trafficate per qualche ora. Non sono dello stesso avviso forse Ireneo e Serena. Il primo è calato nel silenzio, la seconda al contrario, nella lamentela della fatica, dei dolori, del sonno. Tutto per altro ampiamente condivisibile.
Non so da quale punto esatto abbiamo lasciato indietro Serena. Non che io e Ireneo andassimo particolarmente forte, ma cercavamo silenziosamente di tenere un passo decente e costante. Non l’avevamo lasciata sola perché suo figlio l’aveva raggiunta in bicicletta molti chilometri prima.
All’ingresso di Brisighella mi arriva un suo messaggio: “Sono a un km da Pieve Thò, morta. Mi ritiro forse”. La chiamo. È in crisi, ha male dappertutto. “Non esiste che a 15 km dall’arrivo ti ritiri. Sono appena le sette di mattina, ci sono ancora 4 ore per arrivare. Non ci pensare minimamente! C’è tempo! Finirai per pentirtene. Anche noi siamo distrutti. Smetti di frignare e concentrati. Ci vediamo in piazza”.
Sono stato un po’ duro, immagino, ma sono dell’idea che ci si debba ritirare solo se non c’è modo di proseguire o al limite di non arrivare entro la chiusura. È un fatto di rispetto per gli altri partecipanti e soprattutto per tutti gli splendidi volontari che permettono a questa manifestazione di esistere ed essere così
speciale. Per questo mi fanno un po’ arrabbiare i “podisti veri” che si ritirano quando si accorgono di non “fare il tempo”. Ma queste immagino siano delle fisse che ho solo io.
Ireneo è più stanco di me, ma il passo tiene. I 12 km che mancano dall’uscita di Brisighella sono i più lunghi di tutti. Non sono 12, probabilmente sono 24. Ma il mio personalissimo traguardo è a Errano. È lì che arriveranno Ottavia (mia moglie), Alice e Camilla (le mie figlie). Non siamo ancora a quel punto quando mi giro: Serena ci ha raggiunto! Sembra molto determinata. Evviva. Ormai ci siamo. Vedo le mie donne, gli corro incontro saltellando come se non avessi 95 km sulle gambe. Inizia la festa. Arrivano altri amici. Gli ultimi 5 km sono i più lenti perché siamo già in baracca. Facciamo la foto dell’ultimo chilometro e a Porta Montanara urlo a Ireneo: “Il corso dobbiamo farlo correndo!”, lui ride (era un vaffa mascherato) e mi dice di andare. Serena è già partita con lo sprint.
“E te ti volevi ritirare?” penso. Lei mi fa un cenno e mi invita a sbrigarmi, quindi parto e la raggiungo. Vediamo il traguardo: il cronometro segna 9:30 e qualche secondo. Urlo a Serena che quel 30 non deve diventare 31 (come se cambiasse qualcosa). Così sarà. Anche questa è fatta. Un minuto e mezzo dopo
arriva anche Ireneo. Promessa mantenuta. Siamo arrivati insieme. Passato il traguardo, come le altre volte, non capisco più niente. Per qualche minuto non sento
più nessun dolore, nessuna fatica. Sento solo di nuovo la grande soddisfazione di aver preso ancora, per la terza volta, questa medaglia e di aver concluso il mio primo trittico della Romagna con i miei due amici.
Loro hanno detto “mai più”. Ma sappiamo bene che è una bugia. Oggi infatti, passato qualche giorno, iniziano a ragionare sulla prossima. Ovviamente.
E il ginocchio? Nessun fastidio. Incredibilmente. Ci si vede il prossimo anno!

Derek Zoli (pettorale 483)

 

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